14 Febbraio
Da lontano cantava il
vento dell'inverno, un canto silenzioso che spezzava l'angoscia dei
noiosi lamenti della folla. Come ogni giorno la stazione era carica
di tensione che allettava, pericolosamente, i cavi dell'elettricità
non lontani.
La stazione. Un misto di
ombre proiettate dalla quotidianità con l'unico scopo di
intrecciarsi per pochi istanti sullo sfondo delle rotaie, voci
meccaniche che segnalavano i treni in partenza e i cuori traballanti.
Tra questi c'era il cuore di Valeria, colmo d'impazienza e di nuovo.
Riusciva a stento a trattenersi seduta in una panchina che puzzava di
solitudine, le mani le teneva in tasca sforzandosi di comportarsi a
modo ma il suo cervello le ordinava di alzarsi e correre a destra e
sinistra.
L'ennesima voce meccanica
segnalò l'arrivo di un treno, Valeria sapeva che quello era il suo
treno, sospirò nervosa. Immediatamente un ammasso di materia
indefinita si riversò sul binario 3, voci indefinite e passi
spingevano per farsi spazio verso la salvezza. Cominciarono a
tremarle le mani mentre osservava ogni volto, ogni lineamento, ogni
espressione. Poi li incrociò, due occhi ambrati come il miele,
sgattaiolare fra gli ostacoli. Erano piccoli ma sapeva che erano i
suoi, mandò giù la saliva che le sembrava troppa scatenando un
circolo vizioso fino a che lui non le si avvicinò un po'
imbarazzato.
Due anni passati lontani
si smaterializzarono per fondersi in quell'unico abbraccio che li
separava.
Per la prima volta poteva
sentire il suo calore toccarla, poteva sentire il suo odore sulla sua
pelle, poteva sentire che loro erano qualcosa di concreto e
tangibile.
– Com'è andato il
viaggio? –.
Emanuele si sforzò di
non guardarle le labbra – Palloso, ma sono felice di essere venuto
–.
I capelli castani di
Valeria ricaddero sulla schiena dopo che lei li tirò fuori dalla
giacca verde, si incastrò una sigaretta fra le labbra e lui glie la
accese.
– Dopo che ti ho
costretto a venire però –.
– Ma ora sono qui, è
questo che conta giusto? –.
Lasciarono la stazione
immergendosi nelle strade trafficate della città, tra una sigaretta
e l'altra parlarono come se si conoscessero da sempre. In parte era
giusto perché per due anni si erano sentiti, tra alti e bassi, ma
dietro una sottile parete di lontananza. Come potevano aver legato
così tanto seppur la distanza? Continuavano a chiederselo entrambi e
trovarsi fianco a fianco forse era la loro risposta.
Valeria intrecciò la sua
mano con quella di Emanuele restando sbigottita per qualche secondo:
le loro mani sembravano completarsi a vicenda. Con l'altra mano,
invece, teneva il filtro della sigaretta.
– Dove mi porti
signorina?–.
– Preferisci una bella
birra o un caffè? –.
Il biondo rise – Birra
per la vita –.
Così, persi nei loro
discorsi, giunsero in un piccolo bar che Valeria ritenne “adatto”
nonostante fosse alquanto anonimo. Fecero la loro ordinazione e la
loro attenzione si spostò su due arance che sembravano gridare –
Siamo qui! – sulla parete appena dietro al bancone.
L'odore di arancia passò
in secondo piano quando un vassoio con due bicchieri colmi di schiuma
si posò sul loro tavolo, Valeria pensò a quanto quel liquido fosse
simile agli occhi che aveva dinnanzi.
– Alla salute! –.
– Alla salute –
ripeté Valeria per poi gustarsi la birra.
La vera protagonista di
quel pomeriggio fu proprio la birra, che tornava a riunirli ad ogni
bar in cui si fermavano distraendoli da loro stessi. Solo dopo la
quarta si trovarono lungo mare con l'inconfondibile odore salato del
mare all'orizzonte che specchiava il cielo sfumare di blu.
Blu come il colore
dell'abisso che li aveva tenuti lontani.
Quei momenti fece
dimenticare dell'addio che incombeva sulle loro spalle e la figura
della stazione in lontananza li rendeva irrequieti. Da lontano
ridevano per sciocchezze, un po' come bambini che giocavano in riva
al mare. Ma loro non erano bambini, forse due ragazzi innamorati o
forse no. Non volevano indagare sul loro rapporto per non rovinare
quella giornata.
Quando Emanuele smise di
ridere si aggrappò allo sguardo orgoglioso di Valeria nel tentativo
di scavare alla ricerca di qualche tipo di fragilità ma trovò solo
gradazioni di passione. Lei fece altrettanto scatenando però ciò
che tutti e due temevano. Un bacio che intrecciò le loro anime per
secondi prospetti all'eterno bagnati dalle onde del mare, sotto un
cielo oscuro più luminoso del sole. Dimenticarono il concetto di
distanza sicuri di averla vinta, per la prima volta parte delle loro
fantasie aveva trovato un posto nella loro realtà sbiadita.
Per la prima volta
scoprirono ciò che provavano l'uno per l'altra senza bisogno di
parole.
– Non resistivo più a
quelle labbra... –.
La sua voce le arrivò
sfocata tanto era ipnotizzata dal suo respiro.
– Ne è valsa la pena?
–.
Annuì – Avevo paura ma
lo rifarei mille volte, forse potrebbe anche bastarmi –.
Il freddo che fino a
quell'istante era rimasto fuori dalla loro portata si insinuò con
crudeltà pronto a separarli nuovamente. Si abbracciarono nella
speranza di ritardare quel momento, assorbendo il calore che andava
svanendo ma la passione continuava a illuminare quella spiaggia buia.
– A me basta avere
ricordi concreti con te... almeno uno –.
Emanuele la strinse a sé
quasi con disperazione, fra loro non c'era distanza ma il loro
abbraccio apparve come un dipinto di Egon Schiele. Non lo dissero a
parole ma la solitudine aveva cominciato a mangiare i loro cuori.
– A che ora hai il
treno? –.
– Tra un'ora –.
– Che dici, ci facciamo
l'ultima birra? –.
Salutarono il mare e
tornarono al primo bar in cui erano stati sperando di poter
ricominciare da capo quella giornata, pregando in silenzio di poter
ingannare il tempo e rimanere bloccati per sempre nel presente. Senza
pensare al passato e senza temere il futuro.
L'odore che si aggirava
per quelle pareti era sempre lo stesso ma con lievi aromi di
cioccolato. Quasi tutti i presenti, infatti, erano impegnati a bere
enormi tazze di cioccolata fumante ma la loro birra era diventata
sacra. Il sacro che andava oltre la tradizionale cioccolata calda
d'inverno, dopotutto in quella giornata di tradizionale non c'era
nulla. La loro stessa vicinanza era un'eccezione.
Finita anche l'ultima
birra realizzarono che era giunto il tempo.
Tornarono in quel luogo
ignorando le voragini che diventarono i loro petti, non c'erano
silenzi ma quelle parole si fecero vuote. Prive di senso fino a
quando non rimasero solo i loro passi. Il treno arrivò quasi in
anticipo e fu tempo per i due di salutarsi.
Un abbraccio, un bacio,
un sorriso.
– A domani? –.
– A domani – ripeté
Valeria. Per la prima e ultima volta si perse nei suoi occhi, poi le
porte si chiusero e il treno partì.
Non ci sarebbe stato un
domani perché il loro era un addio.
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